Libri

Calci e sputi e colpi di testa

Credo che questa sia la prima volta in cui il titolo del mio pezzino settimanale coincide perfettamente col nome dell’argomento (il titolo di un libro, in questo caso) di cui vi parlerò. Ma il volume in questione l’ho corteggiato per tanto di quel tempo, e poi – come si dice con espressione abusatissima – è diventato un oggetto di culto a tal punto che, beh, non potevo non omaggiarlo esplicitamente. Questa, dicevo, è una prima volta; ma anche una seconda. È cioè la seconda volta che, nel giro di poche settimane, il calcio riesce a regalarmi delle liete sorprese. Non il calcio giocato, ahinoi, con la mia Sampdoria imbrigliata nelle zone pericolosissime della classifica di serie A. Ma il calcio scritto, raccontato senza retorica da chi lo ha vissuto in prima persona.

Recentemente è toccato ad Alessandro Gazzi, col suo Un lavoro da mediano. Il cui sottotitolo, a ben pensarci, riecheggia vagamente il volume di cui si chiacchiera oggi. E adesso, appunto, è la volta di Calci e sputi e colpi di testa.

Il libro

Il volume è uscito per la prima volta nel 1976 per Gammalibri. Non ne ho indagato la vicenda editoriale, ma di certo lo ricordo rieditato in anni recenti da Kaos. E ora (febbraio 2022), eccolo di nuovo in libreria – con un inserto fotografico – grazie a Mimesis.

La mia idea, vergognosamente vicina al preconcetto, era quella di trovarmi al cospetto di un libro ruspante, in cui un calciatore professionista noto per la sua militanza nella sinistra extraparlamentare (Sollier frequentava gli ambienti di Avanguardia operaia) avrebbe tentato di giustificare la schizofrenia di un uomo che, percependo sontuosi stipendi, si permetteva di alzare il pugno verso la curva dei propri tifosi.

Dopo quindici pagine di Calci e sputi e colpi di testa ero già fiero della mia ottusità, che mi ha permesso di ricavare uno stupore grande da un libro che mi ha entusiasmato.

L’allora giovanissimo Sollier scrive con una libertà ed energia che ricordano Porci con le ali, specie nelle divertite e autoironiche digressioni sulla sessualità. Ma altrove l’autore si lascia andare a ragionamenti di natura politica al calor bianco, che mi hanno riportato alla mente libri come Vogliamo tutto e Gli invisibili di Nanni Balestrini.

E c’è naturalmente il resoconto – dall’interno – del calcio di serie A, che proprio in quegli anni si stava organizzando per diventare quell’universo dorato che è adesso. Anche per la complicità di giovanotti sempre più danarosi e sempre più avulsi dalla realtà sociale e politica che li circonda.

Sollier, sempre inquieto e onestissimo, non risparmia nessuno, a partire da se stesso. Parole di fuoco vengono spese contro il PCI: “Il vecchio buon Partito è diventato posato, domestico; fa tutto secondo le regole (borghesi), rispetta i vicini; e sotto sotto fa compromessi e frena”, pp. 28-9. O contro giornalisti in odore di destra, come l’ancora oggi noto Italo Cucci. Che avrebbe accusato il calciatore di reiterare, mostrando il pugno chiuso, un gesto violento.

Splendide le sfuriate contro i compagni di militanza che gli chiedono l’autografo, e che fanno coabitare l’impegno politico (dal lunedì al sabato) con l’abbrutimento domenicale, quando si trasformano in tifosi scalmanati. “Non è meglio se stiamo un po’ insieme, se ci diciamo due cose fuori dal calcio, se ci accorgiamo che possiamo avere un rapporto da persona a persona invece che da imbecille a imbecille?”, p. 33.

Da lì, Sollier tocca il tema rimasto attuale della scarsa propensione – nel nostro Paese – a rendere i cittadini, sin da giovanissimi, protagonisti attivi dello sport, e non spettatori (caricati inoltre di rabbia sociale).

Non mancano momenti in cui brilla un’intelligenza acuta e antiretorica. Come quando Sollier prende posizione nei confronti della (troppo citata e troppo fraintesa) poesia di Pasolini su Valle Giulia, definendola “bella ma falsa. Nessuno se l’è mai presa col singolo poliziotto, con uno che probabilmente ha dovuto scegliere tra divisa e fame, ma con la polizia che difende il potere a manganellate e lacrimogeni in faccia”, p. 85.

E poi ci sono i flash calcistici, che regalano episodi gustosissimi. Come la breve cronaca della “mia prima cattiveria in campo”. Una pedata nel sedere a un avversario, dopo la quale “mi sono sentito proprio soddisfatto, fuorilegge e furbo”, pp. 30-1.

Calci e sputi e colpi di testa è insomma un libro che si regge su una scrittura felice ed energica, pieno di intuizioni che muovono alla riflessione e al sorriso. È lo specchio di un periodo prepotente e contraddittorio, vivido e ingenuo come gli atteggiamenti dei ragazzi. Un periodo irrimediabilmente perduto.

È un libro che riempie di malinconia, e a cui è difficile non voler bene.

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