Di tanto in tanto, negli scorsi articoli, ho scherzato sul mio atteggiamento monomaniacale nei confronti del podismo: è vero, il running è l’unico sport che pratico e che mi ostino a consigliare a chiunque abbia la sventura di incrociare la propria esistenza con la mia.
Ciò non esclude, tuttavia, che io sia un cittadino, un genitore e un compagno, né che abbia a cuore la salute (sempre più cagionevole) del pianeta: caratteristiche che fanno di me un fervido sostenitore del cicloturismo, e prima ancora dell’uso quotidiano della bicicletta, quanto meno per gli spostamenti brevi.
La mia compagna e io, che abitiamo in una zona geografica – l’Ogliastra – potenzialmente paradisiaca, non passa giorno che non ci chiediamo quanto migliorerebbe la vita degli ogliastrini se adeguate infrastrutture e un adeguato atteggiamento mentale (per modificare il quale occorrerebbe un’adeguata educazione all’ecologia) inducessero all’utilizzo della bicicletta.
Ad accendere ancor più la mia passione per la bici ha pensato Ediciclo, che ha appena dato alle stampe una sorta di Summa Theologiae di questo insostituibile mezzo di trasporto: si tratta de Il manuale delle piste ciclabili e della ciclabilità, scritto da Sergio Deromedis, il cui eloquente sottotitolo è: Ideare, pianificare, progettare, promuovere e gestire le infrastrutture ciclabili.
Deromedis – ingegnere e Direttore Sostituto dell’Ufficio Infrastrutture Ciclopedonali della Provincia Autonoma di Trento – dal 1998 si occupa di ciclabilità in qualità di tecnico: ha progettato e diretto una grande quantità di opere legate alla ciclabilità e al cicloturismo, àmbiti per cui ha partecipato e partecipa a numerosi eventi in veste di esperto.
Tutta la sua competenza si versa in questo splendido volume: si tratta di oltre trecento pagine fitte di informazioni precise e preziose, avvalorate da molte e pregevoli fotografie, che giustamente – come recita la quarta di copertina – fanno del Manuale uno strumento indispensabile per una vasta serie di figure, dagli amministratori ai tecnici, dagli operatori turistici agli amanti della bicicletta. Se si legge che un’altra categoria di destinatari ideali è rappresentata da coloro che “hanno a cuore il futuro della mobilità e la qualità della vita dei cittadini”, mi permetto di aggiungere che il Manuale non dovrebbe mancare nemmeno nella libreria di chiunque avverta la bellezza del mondo. E non sono enfatico: vivere nel rispetto della salute propria, di quella altrui e di quella del pianeta è un ottimo modo per ricordarsi che siamo tutti uguali e abbiamo tutti il medesimo diritto di godere, appunto, della bellezza del mondo.
Ma torniamo al Manuale. Vista la densità di norme e suggerimenti racchiusi nelle sue pagine, nel poco spazio a nostra disposizione non possiamo che passare in rapida rassegna i nove capitoli che compongono l’opera.
Il primo, La ciclabilità, si apre con una doverosa definizione della parola stessa: la ciclabilità comprende le infrastrutture ciclabili e la promozione dell’uso della bicicletta. Si illustrano poi, con dovizia di dati e grafici, i motivi per cui vale la pena di investire nella ciclabilità (ogni paragrafo sarebbe da imparare e far imparare a memoria), infine si indicano le politiche internazionali per la ciclabilità, con un esempio di applicazione virtuosa.
Se il secondo capitolo è dedicato a Le normative sulla ciclabilità, il terzo ci parla delle Infrastrutture ciclabili (dove scopriamo la differenza tra infrastrutture lineari e puntuali) e ci indica le varie fasi di realizzazione della ciclabilità.
Nel quarto capitolo, La pianificazione delle infrastrutture ciclabili, apprendiamo – tra l’altro – come la bicicletta sia oggettivamente il mezzo di trasporto più congruo per spostarsi nelle città di dimensioni piccole o medie, e che esistono cinque livelli gerarchici di reti ciclabili a partire dall’Unione Europea per discendere sino ai Comuni; e nel quinto (La segnaletica della ciclabilità) saremo sottoposti a un proficuo ripasso del codice della strada in funzione della ciclabilità.
Giungiamo così all’importante sesto capitolo, La progettazione dello spazio: moderazione, integrazione, separazione. Importante perché qui viene illustrato un principio cardine della ciclabilità: per quanto possibile, occorre puntare anzitutto alla moderazione del traffico e della velocità, poi all’integrazione del traffico di veicoli a motore e biciclette (con spazi ben definiti per ciascuno dei due mezzi ma senza separazione fisica) e solo come ultima ipotesi si dovrà separare il cosiddetto utente debole dalla carreggiata riservata ai veicoli a motore. Moderare e integrare non sono solo due misure economicamente risparmiose, ma anche eticamente irreprensibili; l’azione del separare è infatti conseguenza di una, benché magari solo parziale, sconfitta: si separa appunto solo là dove non sia stato possibile integrare.
Ultimo capitolo tecnico è il settimo, La progettazione delle infrastrutture ciclabili, ricco di spunti anche poco noti (si citano ad esempio gli scivoli per trasportare le biciclette su e giù per le rampe di scale, e addirittura i poggiapiedi per ciclisti al semaforo!).
Chiudono il manuale i capitoli otto e nove, La promozione della ciclabilità e La gestione della ciclabilità, altrettanto costellati di buone idee e begli esempi concreti.
In conclusione, se mi permettete di sbottonarmi un po’, non si può non voler bene a Il manuale delle piste ciclabili e della ciclabilità, e dopo la sua lettura non si può non voler bene alla bicicletta: un mezzo di trasporto antico e nuovo, intelligente ed ecologico, ma soprattutto il perfetto simbolo di un modo sportivo, responsabile, altruistico e lungimirante di essere cittadini. Passiamo parola?
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