In questi giorni faticosi (come confessato altrove, sono costretto a correre in un percorso da criceti; faccio foschi pensieri sul futuro prossimo, personale e collettivo; mia figlia a casa da scuola e impossibilitata a fare esercizio fisico è una sorta di bomba a orologeria che vaga per le stanze), in questi giorni faticosi, dicevo, lavoro poco e male, scrivo ancor meno e ancor peggio, e così mi ritrovo vicino alla consegna del mio pezzo settimanale per Moondo senza non solo non aver redatto ancora niente, ma senza nemmeno avere idea di cosa scrivere.
Succede, perbacco: è che oggi sembra impossibile dichiarare le proprie debolezze, i propri errori, i propri limiti e così via. Tuttavia, avendo io un senso del dovere fin troppo sviluppato, preferisco fare come sto facendo adesso, piuttosto che saltare la consegna. E come sto facendo? Sto scrivendo di getto ciò che mi viene in mente, ma ora mi rendo conto che per rispetto dei lettori è bene smettere di menare il can per l’aia e provare a dire qualcosa di vagamente sostanzioso.
A proposito di cani, ecco il primo argomento: l’unico percorso per me possibile, di questi tempi, ricade in parte su una strada bianca che dà su una serie di terreni agricoli. Alla noia di fare su e giù per poche centinaia di metri ecco quindi che si contrappone la sorpresa di essere inseguito, senza sapere in anticipo quando e se, da un manipolo di cani randagi. Inizialmente, la loro presenza si è rivelata molto allenante, nel senso che sono stato costretto ad accelerare sino a raggiungere velocità per me inusitate. Ma poi, una volta scoperta l’innocuità dei suddetti quadrupedi, il senso di avventura si è trasformato in una noia addizionale. Mi arrendo: evidentemente, in questo periodo devo rinunciare alle grandi emozioni. Mi consolo pensando che la monotonia durante la corsa allena, come suol dirsi, la testa: ottima palestra in previsione della prossima maratona.
Nelle prime righe parlavo della scrittura. Difficile trovare la giusta concentrazione per dar vita a testi dignitosi, in questo periodo. A meno che non lo si voglia sfruttare biecamente, il periodo, e argomentare su di esso, o lui che dir si voglia: ma è pratica che lascio volentieri ad altri più spudorati di me.
Piuttosto, mi è venuta in mente una domanda acuta, che un’amica presente tra il pubblico (in una recente presentazione di un mio volume sul podismo) mi ha posto. Mi ha domandato se e come la corsa abbia influenzato la mia scrittura. Beh: è inevitabile che un’attività talmente pervasiva, talmente capace di mettermi al cospetto dello strettamente necessario, abbia modificato anche il mio scrivere. Nello stile, ma forse soprattutto nell’approccio, nelle intenzioni: così come la corsa, per chi ne intuisce la natura più profonda, aiuta a mirare all’essenziale, ad abbandonare vanità e narcisismi, anche la scrittura autentica non ha nulla a che vedere con l’esibizione di una dote ma è pratica quotidiana, fatica quotidiana, allo scopo di dare una testimonianza asciutta e ferma della propria presenza nel mondo. In estrema sintesi: da quando corro scrivo per scrivere.
Terzo e ultimo aspetto cui accennavo all’inizio: l’imprevedibilità del futuro. Quando tornerò ad allenarmi su lunghe distanze? Quando tornerò a gareggiare? E quindi la domanda vera è: quando tornerò a correre in funzione di altro?
E se, continuando per settimane, magari mesi, a correre solo per correre (sì, come scrivere per scrivere), io trovassi il coraggio di ammettere che il resto – come dicevo un attimo fa – è solo esibizione?
Sarebbe bello riuscire a essere così disciplinati, così votati all’essenziale. Chissà se ce la farò. In tal caso, mi unirò al coro di quelli che – forse un po’ inclini alla retorica – cominciano fin d’ora a dire che questo brutto periodo ci insegnerà qualcosa.
E anche per questo lunedì il pezzo è pronto.
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