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Acido lattico

Assumendomi una bella responsabilità (siccome faccio parte della categoria), ho più volte affermato che si pubblicano troppi libri di argomento podistico, e nella quasi totalità dei casi si tratta di libri brutti.

Aggiungendo civetteria a civetteria, mi picco di conoscere i pochi che, almeno in lingua italiana, hanno invece scritto cose notevoli sulla corsa. Penso ad esempio a Roberto Weber, Paolo Maccagno e Gastone Breccia.

Al novero appartiene senza dubbio anche Saverio Fattori, la miglior penna di Correre, storica rivista di settore, e autore, tra gli altri, dell’eccellente romanzo Finta pelle, da noi recensito altrove (e con questa autocitazione fanno tre indelicatezze in poche righe: diamo la colpa al caldo).

Acido lattico

Almeno a mia memoria, Fattori è autore dell’unica (o quasi unica) convincente opera narrativa italiana sul podismo, assieme al solo A perdifiato di Mauro Covacich.

Dello stesso parere è Daniele Menarini, direttore di Correre e prefatore del libro di cui parleremo brevemente oggi, Acido lattico.

Il romanzo, già uscito per Gaffi nel 2008, è stato ridato alle stampe nel maggio del 2023 da CN, marchio tascabile di Oligo Editore. E porta con sé un emblematico sottotitolo di cui si sono accorti in pochi (anche perché, curiosamente, non appare in copertina ma solo nel frontespizio): L’eccellenza atletica è un capolavoro che attende solo di essere inquinato.

La vicenda di Claudio Seregni

Acido lattico narra la storia di Claudio Seregni, o meglio Seregni Claudio: sono queste le prime due parole del libro, quasi a voler derubricare il protagonista a oggetto di catalogazione, annullando così ogni ipotesi di eccezionalità legata alle sue poco virtuose gesta.

Raccontato in prima persona tranne che nelle pagine iniziali, Acido lattico è la vicenda di un podista di alto livello, “di interesse nazionale”, che non fa nulla per essere simpatico: cinico, manipolatore e per giunta razzista, Seregni rappresenta l’atleta forte ma non ancora consacrato, che ha il solo obiettivo di vincere il più possibile, abbassare il più possibile i propri tempi, competere il più possibile ad alti livelli.

Saverio Fattori sa bene che l’atletica è in fondo un agone governato da un solo, semplicissimo parametro: il cronometro. E chi fa dell’atletica una professione non ha, in definitiva, altre divinità cui offrire quotidianamente vittime sacrificali. Fin troppo facile aggiungere che, nel caso dell’atletica, il corpo offerto in sacrificio è il proprio.

Seregni e il doping

Votato in modo assoluto a questo perverso rapporto con la trascendenza, Claudio Seregni non esita a fare un ricorso sempre più massiccio a sostanze dopanti. Naturalmente non vi diremo come andrà a finire.

Lo stile dell’autore, asciutto e senza alcuna ombra di moralismo, crea nel lettore un sentimento di perturbante comprensione verso il protagonista dell’opera: come Fattori sospende il giudizio su Seregni, così noi ci troviamo spettatori di questa passione che lo fagocita. E che, essendo appunto senza via di scampo, vanifica ogni eventuale ragionamento su ciò che sia o meno lecito.

Claudio Seregni, poi, è ossessionato da una serie di giovani promesse dell’atletica che nel tempo non hanno saputo confermarsi (e ci pare che tutti i nomi citati nel libro si riferiscano ad atleti autentici). Ma è soprattutto verso Clara, una mezzofondista destinata a una tragica fine, che Seregni dirige le sue morbose attenzioni da – potremmo dire – correligionario.

Il mondo amatoriale

Un secondo livello di lettura di Acido lattico è rappresentato dalle continue frecciate che Seregni riserva al mondo del podismo amatoriale. Ovvero il nostro, cari lettori.

A un personaggio di poca moralità si può mettere in bocca qualunque frase. Che però non è detto sia sempre e necessariamente sbagliata. Parlando del padre della propria compagna, ad esempio, Seregni dice: “Poi era arrivata inevitabile come una maledizione, la crisi dello sportivo cinquantenne. Si era manifestata con una maniacale fissazione per la maratona di New York, la massima espressione di impresa per chi sa poco o nulla di atletica. La sola partecipazione è motivo di vanto. Una sfida contro se stessi proiettata all’esterno, urlata al mondo. […] Era ipnotizzato da quelle ali di folla che incitavano i maratoneti al passaggio, dal primo all’ultimo, bocche aperte, braccia levate, bandierine, coriandoli, fischietti. Non gli era mai passato per il cervello che quell’esplosione di entusiasmo cieco potesse celare una sottile presa per il culo” (p. 157).

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